"Mio marito seviziato dai russi", la prova nel certificato di morte

18/05/2024

Il racconto di Ksenia Myronova. Il suo Denys torturato nelle carceri segrete di Kherson  

ODESSA - "Un giorno Denys è uscito di casa e mi ha detto che doveva comprare un po' di benzina. Non è mai più tornato". Ksenia Myronova ci racconta l'atroce destino di suo marito lottando con le lacrime. Ogni volta che il dolore ha il sopravvento si ferma, vuole restare lucida, ha bisogno di ricordare ogni dettaglio. Denys è stato massacrato nelle camere di tortura di Kherson dagli sgherri russi, da un manipolo di sadici in passamontagna che lo hanno seviziato per settimane. È morto per le conseguenze di quelle torture. E il suo assassinio è l'ennesima prova dei crimini di guerra di Putin.

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Il 23 marzo Denys Myronov è stato sbattuto nelle carceri segrete al civico 4 di Kirova, a Kherson, nella città occupata da marzo dalle truppe russe. Il 26 maggio, la polizia di Mykolaiv ha chiamato Ksenia per il riconoscimento del suo cadavere. In mezzo, due lunghi mesi di disperata ricerca di informazioni e di silenzio delle autorità russe. Soltanto grazie a tre compagni di prigionia, Ksenia è riuscita a ricostruire le torture inflitte al marito: i pestaggi continui, gli elettroshock, le buste di plastica infilate in testa per soffocarlo, i ricatti psicologici. "Denys è morto perché non ha mai parlato. E stato sepolto come un eroe. Ma io non mi do pace. E neanche nostro figlio".

Ksenia Myronova, cos'è successo il 23 marzo? E perché Denys è stato arrestato dagli occupanti russi?

"Mio marito faceva il commerciante di frutta e verdura. Dopo l'invasione russa si è unito alla resistenza. Il 23 marzo è uscito di casa per comprare un po' di benzina. Almeno, è quello che mi ha raccontato per non farmi preoccupare. In realtà avevano convocato lui e altre decine di partigiani per una riunione. Com'è emerso più tardi, era la trappola di un traditore. Denys è scomparso. Nei primi giorni, dal suo cellulare mi arrivavano ancora dei messaggi, ma ho capito subito che non era lui. Erano i suoi aguzzini sadici che mi prendevano in giro. Scrivevano "sono un po' in ritardo", "arrivo tra tre giorni", cose così. Ho cominciato a cercare i suoi amici. Nessuno lo aveva più visto. Poi ho iniziato ad avere paura: ho saputo che anche la moglie e i figli di un suo amico erano stati portati via dai russi. Ho preso mio figlio e il 6 aprile siamo scappati da Kherson a Novomoskovsk".

Quando ha avuto le prime notizie di suo marito?

"Quando mi ha chiamato un vicino e mi ha detto che un uomo e una donna erano venuti a cercarmi a casa. Lui si chiamava Aleksiy e aveva con sé l'orologio di mio marito (Ksenia ce lo mostra durante la videointervista, ndr) ed era stato liberato per uno scambio di prigionieri. Poi sono stati altri due compagni di cella ad aiutarmi a ricostruire cosa gli era successo: Anton e Igor. Entrambi hanno ceduto alle pressioni dei russi e hanno parlato. Perciò sono ancora vivi. Ma io sarò per sempre grata e entrambi per quello che hanno fatto per Denys".

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Cos'è successo a Denys?

"Nei primi giorni avevano infilato un sacco in testa e messo le manette a tutti. E i pestaggi brutali sono cominciati subito. Denys è stato trattato con una tale violenza che dopo poco non riusciva a stare né in piedi né sdraiato. Gli hanno tolto i pantaloni e lo hanno picchiato con un bastone finché le gambe non sono diventate nere. Nel frattempo gli hanno sfondato il petto e spezzato le costole, perforandogli un polmone. Lo sappiamo dal certificato di morte, perché in due mesi non ha mai potuto vedere un medico. È morto per le conseguenze di quelle sevizie. I russi gli dicevano "se vuoi un medico devi parlare e devi confessare che sei un nazista"".

E lui?

"Non ha mai detto nulla. Quando non riusciva più a muoversi, i suoi compagni di cella hanno chiesto una sedia, e Denys ha dormito su quella sediolina per 22 giorni, imboccato da loro perché non riusciva a muovere bene neanche le braccia. Eppure i russi hanno continuato a picchiarlo, a divertirsi con delle buste di plastica che gli infilavano in testa per dargli la sensazione che soffocasse, a fargli degli elettroshock. Il 18 aprile lo hanno trasferito a Sebastopoli".

Nel carcere che serve di solito per gli scambi di prigionieri?

"Esatto. Ma invece è morto poco dopo, il 23 aprile. E la polizia di Mykolaiv mi ha chiamato oltre un mese dopo, il 26 maggio, per il riconoscimento del cadavere. Mio marito è solo il primo di un enorme gruppo di civili detenuto e torturato nelle camere delle torture di Kherson. È stato sepolto qui vicino a me, nell'Ucraina libera, con tutti gli onori militari. Perché è morto da eroe".

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